I marchi che utilizziamo come parole comuni
Nel linguaggio colloquiale capita di utilizzare un marchio come termine generico per individuare oggetti simili: per esempio, si potrebbe identificare una qualsiasi scarpa sportiva come una “Nike” oppure chi ha poca familiarità con i videogiochi potrebbe chiamare “Playstation” una qualsiasi consolle.
In entrambi i casi si equipara in qualità e/o funzione il prodotto di un’azienda a quello dei suoi concorrenti; se da un certo punto di vista può sembrare una cosa positiva che un prodotto abbia raggiunto una così diffusa conoscenza nel mercato, dall’altro lato si tratta di un grave pericolo per il titolare perché rischia di perdere un asset di grande valore, ovvero la distintività del proprio marchio rispetto ai competitor.
Per converso quindi, alcuni prodotti o servizi finiscono con il godere della reputazione e dell’identità commerciale costruiti dal proprietario originale con notevole investimento di tempo e denaro: questo fenomeno prende il nome di volgarizzazione del marchio.
Ai sensi dell’articolo 13.4 del Codice della Proprietà Intellettuale, il marchio può essere dichiarato decaduto (previa iniziativa ostile di terzi) “se, se per il fatto dell’attività o dell’inattività del suo titolare, sia divenuto nel commercio denominazione generica del prodotto o servizio o abbia comunque perduto la sua capacità distintiva”.
Ad esempio, nel novero dell’ ”inattività del titolare” vengono considerati tutti quei casi in cui il titolare appunto non utilizza in modo proprio il marchio ed ad esempio omette di contraddistinguerlo (ove possibile) con i simboli e/o le indicazioni che ne denotano lo status di tutela (® se il marchio è già registrato ovvero ™ se l’iter di concessione del marchio è ancora in corso).
Se il titolare del marchio impropriamente utilizzato da terzi in modo generico non interviene in alcun modo (direttamente o per tramite del proprio mandatario) ed addirittura la parola entra a far parte dell’uso comune (ossia viene inserita come tale in un dizionario) per identificare una intera categoria di prodotti (e non quello specifico dell’azienda), vi è l’altissimo rischio di veder persi i diritti esclusivi concessi dalla registrazione.
Per esempio, in italiano i lettori musicali portatili venivano spesso identificati con la parola walkman, ma in realtà questo termine deriva da un prodotto Sony, il Walkman per l’appunto, che con prezzi concorrenziali e un marketing pervasivo si affermò come l’icona della “musica sempre in tasca.”
La portata del successo del prodotto Sony però fu tale che portò alla volgarizzazione del marchio, al punto che il tribunale austriaco (caso Sony v Time Tron Corp, 4 Ob 269/01i) decise che la parola ‘walkman’ faceva oramai parte del linguaggio comune e Sony perse i diritti d’uso esclusivo sul nome in Austria.
Da ciò si comprende come un nuovo prodotto che ‘inventa’ una nuova categoria merceologica, senza che nella lingua di riferimento ci siano parole adeguate a definirla, è particolarmente esposto al rischio della volgarizzazione.
Cellophane, moka e rimmel sono esempi di marchi decaduti, che ora identificano tutti i prodotti che hanno rispettivamente la medesima funzione ed hanno perso la loro distintività come marchi nella percezione del consumatore: chi si ricorda che Rimmel era un’esclusiva di Maybelline?
L’ingresso nel lessico comune di un marchio non comporta però automaticamente la volgarizzazione se il suo titolare interviene adeguatamente: per esempio la parola Nutella® era stata inserita in un dizionario per indicare genericamente una crema spalmabile, ma Ferrero ha imposto, come suo diritto, l’utilizzo del simbolo di marchio registrato nelle pubblicazioni. Simili precauzioni sono state adottate ad esempio anche da 3M per Scotch® e Post-It®.
Sul punto è chiaro l’Art. 20.3bis del Codice della Proprietà Intellettuale secondo il quale appunto “Se la riproduzione di un marchio in un dizionario, in un’enciclopedia o in un’analoga opera di consultazione in formato cartaceo o elettronico dà l’impressione che esso costituisca il nome generico dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio è registrato, su richiesta del titolare del marchio d’impresa l’editore dell’opera provvede affinché la riproduzione del marchio sia, tempestivamente e al più tardi nell’edizione successiva in caso di opere in formato cartaceo, corredata dell’indicazione che si tratta di un marchio registrato”.
Il caso di Ferrero rimarca l’importanza di attivare un servizio di sorveglianza, perché la prima difesa contro la volgarizzazione del marchio è accorgersi ed agire per tempo dei suoi usi impropri da parte di terzi, monitorando diversi canali e intervenendo prontamente per rettificare la situazione (come nel caso della Nutella®) od impedirne totalmente l’utilizzo.
Un’altra precauzione importante è quella di estendere la registrazione del marchio a tutti i territori in cui si ha una presenza o comunque un interesse commerciale.