I fattori Polaroid: il likelihood test tra marchi simili
Il caso della mitica Polaroid, icona mondiale della fotografia, è certo una tra le storie più belle del mondo dell’innovazione. Ebbe inizio in America nel 1937 quando Edwin Land creò la fotografia istantanea grazie all’invenzione della fotocamera istantanea, dotata al suo interno di uno speciale involucro munito di soluzione chimica: al momento dello scatto, l’involucro si rompeva e la soluzione aderiva alla pellicola che in quel preciso momento passava attraverso i cilindri. Il fascino delle immagini istantanee conquistò il mondo. Da qui la rapidissima ascesa di Polaroid Corporation e dell’omonimo marchio.
A distanza di quasi venticinque anni, nel 1961, la Polaroid Corporation fece causa alla Polarad Electronics Co., azienda nata nel 1944 e specializzata nella vendita di dispositivi a microonde e attrezzatura per studi televisivi, sostenendo che la somiglianza tra i segni distintivi Polaroid vs. Polarad costituiva una violazione del proprio marchio.
Il giudice Henry Friendly rigettò la tesi di Polaroid sulla violazione del marchio, sostenendo che, pur essendo Polaroid un marchio forte, non solo un rischio di confusione tra i marchi in causa non era ravvisabile, ma Polaroid risultava essere già da tempo a conoscenza dell’esistenza del marchio Polarad, ben prima di avviare la causa legale, senza che peraltro avesse mai agito per contestare le presunte similarità tra i due marchi, così che il diritto a difendere il proprio marchio si era decisamente indebolito.
Fermo restando l’importanza di difendere sempre prontamente e tempestivamente la propria proprietà intellettuale, poiché, come insegna il caso Polaroid, l’inazione o il tardivo avvio di azioni a difesa del proprio marchio può essere un’aggravante e risultare determinante nel pronunciamento di una decisione sfavorevole anziché favorevole, nella causa in esame il giudice Henry Friendly, per determinare se vi fosse o meno somiglianza tra i marchi Polaroid vs. Polarad, individuò e applicò all’analisi comparativa degli stessi una serie di criteri di valutazione, inventando il c.d. likelihood test o test del rischio di confusione, un test multifattoriale basato sui seguenti punti principali da prendere in considerazione tutti insieme:
- la somiglianza dei marchi, data dall’impressione complessiva creata dai due marchi sotto il profilo visivo, fonetico e concettuale;
- la somiglianza dei prodotti e/o dei servizi coinvolti, laddove marchi identici o simili per prodotti e/o servizi che si riferiscono ad ambiti uguali e/o similari può implicare anche forme di sviamento della clientela indotta ad acquistare i prodotti e/o i servizi dall’azienda concorrente ma perché erroneamente scambiata per quella desiderata;
- prove concrete attestanti l’esistenza di confusione nei consumatori circa l’origine del prodotto e/o del servizio contrassegnato dai marchi in comparazione;
- il livello di attenzione del consumatore per stabilire quanto è probabile che si confonda nell’acquisto di un prodotto e/o servizio contrassegnato dai marchi in questione;
- la forza del marchio anteriore, ossia il suo grado di distintività;
- l’intento doloso di raggirare il consumatore da parte del titolare del marchio successivo, per cui è importante valutare se abbia agito in cattiva fede, quando in particolare è palese e provato che fosse a conoscenza della notorietà dell’altro marchio e che stesse cercando di sfruttarla a suo vantaggio.
Tali punti, diventati noti come fattori Polaroid proprio in virtù di quella causa, sono stati spesso usati dai giudici come linee guida per le loro valutazioni e sono perciò criteri utili da prendere in considerazione se si vuole valutare il rischio di confusione tra marchi in scenari di possibili violazioni di marchio.