Cos'è il marchio collettivo?
Se il marchio individuale svolge la funzione di contraddistinguere i prodotti e servizi di una determinata fonte imprenditoriale da quelli delle altre imprese, il marchio collettivo assolve principalmente la funzione di garantire particolari caratteristiche qualitative di prodotti e servizi di più imprese e serve a contraddistinguerli per la loro specifica provenienza geografica, natura o qualità, secondo i criteri e gli standard previsti dal relativo regolamento d’uso obbligatorio (c.d. disciplinare), depositato in sede di registrazione.
In Italia il marchio collettivo è disciplinato dall’articolo 2570 c.c. e dall’art. 11 del CPI (Codice di Proprietà Industriale).
Chi può registrare un marchio collettivo? L’art. 2570 c.c. prevede che “I soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi possono ottenere la registrazione di marchi collettivi per concederne l’uso, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, a produttori e commercianti” così, analogamente, l’art. 11, comma 1 del CPI statuisce: “Le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti, escluse le società di cui al libro quinto, titolo quinto, capi quinto, sesto e settimo, del codice civile, possono ottenere la registrazione di marchi collettivi che hanno la facoltà di concedere in uso a produttori o commercianti.”.
La registrazione del marchio collettivo viene concessa non al singolo imprenditore, bensì a specifici soggetti legittimati fra i quali citiamo, a titolo esemplificativo, i consorzi, le associazioni e gli enti, privati o pubblici, che siano in grado di svolgere una funzione di garanzia rispetto ad origine, natura e qualità di determinati prodotti o servizi, e che, quindi, concedono l’uso del marchio a terzi, produttori o commercianti, che si impegnano all’osservanza dello specifico regolamento che ne disciplina l’uso.
Cosa si intende per regolamento di un marchio collettivo? Sempre l’art. 11, comma 2 del CPI, stabilisce, infatti, la modalità di presentazione del regolamento d’uso (c.d. disciplinare) del marchio collettivo: “I regolamenti concernenti l’uso dei marchi collettivi, i controlli e le relative sanzioni devono essere allegati alla domanda di registrazione in conformità ai requisiti di cui all’articolo 157, comma 1-bis; le modificazioni regolamentari devono essere comunicate a cura dei titolari all’Ufficio italiano brevetti e marchi per essere incluse nella raccolta di cui all’articolo 185”.
Oltre ai documenti di routine, alla domanda di un marchio collettivo deve essere allegato lo specifico regolamento inclusivo delle norme sull’uso del marchio, sui controlli e le relative sanzioni insieme, eventualmente, ad un disciplinare di produzione.
Un marchio collettivo può essere costituito da un segno geografico? L’art. 11, comma 4 del CPI, autorizza eccezionalmente che solo i marchi collettivi possano consistere di segni o indicazioni della provenienza geografica dei prodotti o servizi in questione.
Chi è legittimato ad utilizzare il marchio collettivo? Sempre l’art. 11, comma 4 del CPI chiarisce che, oltre ai concessionari autorizzati dai titolari del marchio collettivo, l’imprenditore, i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica in questione, gode del diritto all’uso del marchio collettivo, oltre che a diventare membro della associazione di categoria titolare del marchio, purché soddisfi tutte le norme prescritte dal regolamento.
Spetta, infine, all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM), valutare, di volta in volta, l’ammissibilità della domanda di registrazione, sia per prevenire possibili situazioni di ingiustificato privilegio o pregiudizievoli: “l’Ufficio italiano brevetti e marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. L’Ufficio italiano brevetti e marchi ha facoltà di chiedere al riguardo l’avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti.”.
L’impiego di marchi collettivi è molto diffuso in Italia (“Vero Cuoio Italiano”, “Nato Brigante”, “Tartufo d’Abruzzo”, “Radicchio di Chioggia”, “GP Grana Padano”, e così via), permette a diverse aziende di godere della fama di cui godono i nostri prodotti all’estero e al contempo garantisce al consumatore che nella filiera di produzione siano stati adottati standard qualitativamente severi e chiaramente codificati.
La domanda di registrazione di un marchio collettivo presenta maggiori complessità rispetto alla procedura standard, essendo strettamente legata alla formulazione del regolamento d’uso che deve codificare caratteristiche, prerequisiti, norme, modalità di controllo e sanzioni legati all’impiego del marchio e all’appartenenza all’associazione.
È quindi importante affidarsi a un consulente esperto e competente per assicurare la creazione di un marchio collettivo solido, capace di valorizzare adeguatamente i prodotti o i servizi delle imprese che lo utilizzano.